Tutti ricordiamo quanto fosse acceso il dibattito sull’impatto dei social media, l’intensità delle discussioni sulla digitalizzazione e sull’abbandono delle modalità classiche di aggregazione in favore di altre di tipo virtuale, suscitando l’inquietudine dei più conservativi.
Sebbene nessuno di questi temi abbia perso la sua importanza, è impossibile non cogliere l’ironia della situazione: infatti, quelle che solo un anno fa erano mere speculazioni o azzardate previsioni sulle conseguenze della digitalizzazione, possono adesso basarsi su un gigantesco esperimento sociale, che ha obbligato ognuno di noi a immergersi nella dimensione virtuale per continuare a lavorare, interagire con i nostri cari, studiare.
Anche se è indiscutibilmente chiaro che le interazioni umane non potranno mai essere completamente sostituite da quelle virtuali, è altrettanto chiaro che “lavorare” ha assunto un nuovo significato.
La prima e ovvia conseguenza di questi cambiamenti, le cui ripercussioni saranno probabilmente svelate sono tra qualche anno, è che il progetto dei luoghi del lavoro dovrà affrontare molti cambiamenti, confrontandosi contemporaneamente con la sempre più rapida virtualizzazione e con una più pressante esigenza di isolamento e protezione. Si richiede dunque un nuovo tipo di sicurezza che dovrà rapportarsi con spazi più ampi, ma allo stesso tempo correttamente dimensionati per garantire l’equilibrio tra protezione e interazione sociale.
Tuttavia, molti degli edifici inaugurati quest’anno, e quindi progettati prima della pandemia, dovranno adesso confrontarsi con un nuovo set di requisiti, probabilmente non considerato in fase di design.